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Bando per un nuovo inceneritore in Umbria, Legambiente ribadisce la sua opposizione: i costi potrebbero lievitare sempre più



Nel 2023, l'Umbria ha raccolto 446.248 tonnellate di rifiuti urbani, secondo i dati di Arpa Umbria. Rispetto al 2022, la produzione di rifiuti è aumentata di 4.193 tonnellate (+0,9%), con una media per abitante inferiore a quella delle regioni centrali italiane ma superiore alla media nazionale. La raccolta differenziata è cresciuta di 5.300 tonnellate, mentre i rifiuti non differenziati sono diminuiti di 1.800 tonnellate. Complessivamente la produzione media regionale nel 2023 è pari a 521,1 kg/res e quindi cresce leggermente rispetto al 2022, e la raccolta differenziata è arrivata al 68,8%.

Ridurre al minimo la quantità di rifiuti conferiti in discarica è essenziale, in conformità con la direttiva 1999/31/CE, che mira a proteggere l'ambiente e la salute pubblica. La recente direttiva europea 2018/850, parte del Pacchetto sull’economia circolare dello stesso anno e recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 121/2020, stabilisce infatti che entro il 2035 lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica non dovrà superare il 10% congiuntamente a una serie di interventi che prevedono di aumentare sia la quantità che la qualità della raccolta differenziata per raggiungere gli obiettivi di recupero dei rifiuti con un tasso di riciclo del 65% entro il 2030, insieme ad azioni di standardizzazione dei metodi di raccolta dei rifiuti e ottimizzazione del sistema impiantistico, rispettando il principio di prossimità e riducendo i costi, azioni queste, che risultano previste dal Piano regionale di gestione integrata dei rifiuti (PRGIR).

Per quanto riguarda l’Umbria, nel 2022 più del 30% dei rifiuti urbani prodotti è stato smaltito in discarica, una percentuale in aumento rispetto all’anno precedente (Fonte: Istat). Attualmente, solo cinque regioni italiane riescono a mantenere lo smaltimento in discarica sotto il 10%: Lombardia (3,5%), Friuli Venezia Giulia (5%), Emilia Romagna (5,2%), Trentino Alto Adige (5,3%) e Piemonte (8%).

Per quanto riguarda la raccolta differenziata, nel 2022 la maggior parte delle regioni italiane ha registrato un aumento delle percentuali, con l'eccezione di Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Molise. Undici regioni hanno già raggiunto il target del 65% di raccolta differenziata obiettivo previsto dal Testo Unico Ambientale , con una regione in più rispetto al 2020. Le regioni che hanno superato questo obiettivo sono: Veneto (76,2%), Sardegna (75,9%), Trentino Alto Adige (74,7%), Emilia-Romagna (74%), Lombardia (73,2%), Marche (72%), Umbria (67,9%), Friuli Venezia Giulia (67,5%), Piemonte (67%), Valle d’Aosta (66,1%) e Toscana (65,6%) (1).

Ed è in questo contesto che si colloca l’avviso pubblico, reso noto dall’AURI (Autorità Umbra Rifiuti e  Idrico), il 19 luglio scorso. L’avviso mira a raccogliere proposte a iniziativa privata riguardanti la costruzione e la gestione di un nuovo impianto di trattamento e recupero energetico. Questo progetto, incluso nel Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGIR), è stato approvato il 14 novembre 2023 dall'Assemblea legislativa dell'Umbria (360/2023).

Tra gli obiettivi principali del PRGIR vi sono la riduzione del 4,4% della produzione di rifiuti entro il 2035, l'aumento della raccolta differenziata al 75% entro lo stesso anno, e il raggiungimento di un tasso di riciclo del 65% entro il 2030 (come da direttiva europea). Il piano prevede un conferimento in discarica dei rifiuti non riciclabili e non recuperabili inferiore al 10%. Per realizzare questi obiettivi, è prevista la costruzione di un impianto di termovalorizzazione operativo entro il 2028, con una capacità di trattamento annua di massimo 160mila tonnellate che garantisce un conferimento massimo in discarica del 7% quindi rispondente a parametri richiesti.

L'impianto sarà destinato al trattamento di rifiuti urbani indifferenziati, inclusi scarti derivanti dalla raccolta differenziata e dalla frazione organica, nonché rifiuti speciali regionali come i fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e rifiuti ospedalieri.

Secondo Legambiente Umbria, il bando non fa altro che peggiorare il già negativo giudizio sulla scelta della Regione di puntare sull'incenerimento come soluzione per la gestione dei rifiuti perché dei vari scenari proposti nel PRGIR il dimensionamento dell’inceneritore consente la gestione di rifiuti non riciclati prodotti già oggi, senza considerare eventuali futuri miglioramenti nella raccolta differenziata e nel riciclaggio. Anzi non aiuterà certamente a raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata del 75% che infatti sono posticipati al 2035 mentre l’inceneritore dovrà essere attivo dal 2029.



Un altro aspetto e critico è la trasformazione dell'obbligo di recupero energetico tramite la produzione di vapore per il teleriscaldamento in una semplice predisposizione, rendendo il teleriscaldamento "opzionale". Questa modifica potrebbe far scomparire il tanto declamato modello Copenaghen, vanificando le dichiarazioni di buone intenzioni della Regione.

Il bando prevede anche un aumento "prudenziale" della capacità del forno dell’8%, passando da 160.000 a 173.000 tonnellate annue di rifiuti inceneriti. Tale incremento è giustificato solo dal garantire un introito maggiore al bilancio economico di esercizio visto che la produzione attuale di rifiuti indifferenziati in Umbria è intorno alle 133.000 tonnellate, ma evidentemente le altre tipologie di rifiuti (scarti da raccolta differenziata, fanghi e speciali) sono comunque appetibili.

"Il piano prevede di non fare nulla fino all'accensione dell'inceneritore, opzione che abbiamo sempre considerato inutile e dannosa. Con la diminuzione della popolazione residente in Umbria, la Regione ritiene non necessarie ulteriori politiche attive sui rifiuti, ma solo assicurare per venticinque anni le 170.000 tonnellate di rifiuti da bruciare per garantire il pareggio finanziario del proponente" ha dichiarato Maurizio Zara, presidente di Legambiente Umbria.

Secondo Legambiente, questa logica implica che si potrebbe cessare di migliorare la qualità e quantità della raccolta differenziata e,  territori più arretrati come quelli nella Valle Umbra e Valnerina, ancora lontani dal raggiungere il 65%  (obiettivo del 2012), non dovrebbero preoccuparsi di emergenze rifiuti, anche non facendo nulla. I comuni più virtuosi, invece, dovrebbero accontentarsi e non impegnarsi ulteriormente.

Se si sceglie di ingessare l’impiantistica sull’inceneritore - dichiara Daniela Riganelli, Legambiente Umbria – si sceglie allo stesso tempo di limitare gli sforzi verso  quell’economia circolare che implica politiche attive di riduzione rifiuti anche in ottica industriale di eco-progettazione, passa poi per il riuso e potenzia le filiere del riciclo che si ottengono  migliorando qualità e quantità delle raccolte differenziate”.

Per quanto riguarda i costi, inizialmente stimati a 100 milioni di euro, poi saliti a 150 e infine a 200 milioni, Legambiente sottolinea che non saranno coperti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) né da altre risorse europee come il Green Deal. Gli inceneritori sono infatti considerati incompatibili con il principio DNSH (Do No Significant Harm), ovvero di non arrecare danno all'ambiente. Il bando pubblicato dall’AURI è infatti del tipo "finanza di progetto", il che significa che l’operatore che si aggiudicherà il progetto dovrà sostenere l’investimento con fondi propri, recuperando successivamente la spesa mediante la tariffa di smaltimento.

Di tutt’altro avviso è invece il vicepresidente della Regione e assessore all'Ambiente Roberto Morroni ha recentemente affermato in merito al Piano regionale dei rifiuti: “Proprio nei giorni scorsi la Commissione europea ha comunicato ufficialmente che il nuovo piano regionale dei rifiuti, predisposto dalla Giunta regionale e approvato dall’Assemblea legislativa, soddisfa appieno quelle che sono le linee di indirizzo sancite dall’Unione europea in materia di gestione dei rifiuti, e per questo motivo ha ricevuto anche lo sblocco dei fondi strutturali finalizzati a queste attività”.

Una prospettiva che evidentemente si concentra sull’obiettivo del 10% in discarica richiesto dalle direttive Europee ora anche leggi nazionali.

Da non sottovalutare in questo contesto è anche la possibile emersione del fenomeno NIMBY (Not In My Back Yard), ovvero l'opposizione delle comunità locali alla realizzazione di opere pubbliche percepite come dannose o sgradite nel proprio territorio, che potrebbe nascere qualora si decidesse la localizzazione dell'inceneritore.

Inoltre, dal punto di vista delle emissioni, il recupero dei rifiuti anziché la loro combustione riduce significativamente l'apporto di gas climalteranti nell'atmosfera. Secondo l'Unione Europea, i costi di gestione degli inceneritori potrebbero aumentare notevolmente nel contesto delle politiche di neutralità climatica entro il 2050. Gli inceneritori potrebbero essere soggetti ai meccanismi ETS (Emission Trading Scheme) di scambio delle quote di emissioni di CO2 entro il 2026, con un costo aggiuntivo stimato di almeno 80 euro per tonnellata di rifiuti trattati. Questo aumento dei costi si rifletterebbe sulle imposte dei rifiuti e dunque sulle tasche dei cittadini.

Nonostante i miglioramenti nella raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti indifferenziati, la costruzione dell'inceneritore rischia di minare seriamente gli sforzi verso un'economia circolare, aggravando al contempo il peso economico sulle famiglie umbre.

Nel frattempo, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per non aver rispettato la direttiva quadro sui rifiuti, che mira a prevenire e ridurre la produzione di rifiuti e migliorare l'efficienza delle risorse. L'Italia, che avrebbe dovuto recepire queste norme entro il 5 luglio 2020, non ha adempiuto a requisiti cruciali come la responsabilità estesa del produttore e la raccolta differenziata dei rifiuti pericolosi. Il governo italiano ha ora due mesi per correggere le violazioni, altrimenti la Commissione potrebbe emettere un parere motivato. Questo scenario di infrazione, che coinvolge anche altri dieci Stati membri per questioni simili, evidenzia una preoccupante mancanza di impegno verso le norme ambientali europee, suggerendo una grave disattenzione nella gestione dei rifiuti e una possibile lacuna nella strategia di sostenibilità nazionale.


 


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