Solo 5 anni fa, nel 2019 l’UN/DESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division), prevedeva una crescita ininterrotta della popolazione mondiale per tutto il secolo fino a sfiorare i 10,9 miliardi nel 2100.
Previsioni che si sono dovute ricalibrare e hanno mostrato come la crescita demografica a livello mondiale e quindi anche europeo raggiungerà il suo picco tra pochi decenni per poi cominciare a calare.
L’Italia è perfettamente inserita nel contesto, immersa in una crisi demografica che rischia di compromettere la sostenibilità del sistema economico e del welfare nel medio-lungo termine. La riduzione delle nascite e l'invecchiamento della popolazione risultano infatti essere fenomeni sempre più pervasivi, mentre le politiche governative messe in campo negli ultimi anni si sono rivelate insufficienti a invertire la tendenza.
Secondo gli ultimi dati ISTAT, la popolazione italiana è passata da 60,3 milioni nel 2014 a 58,9 milioni nel 2023, con una previsione di ulteriori cali che potrebbero portare a 46,1 milioni di abitanti entro il 2080, se non si interviene con politiche efficaci. La denatalità è una delle cause principali di questo declino: il tasso di natalità ha infatti raggiunto lo scorso anno il minimo storico di 6,4 nascite per mille abitanti, rispetto al 6,7 per mille del 2022.
La situazione in Umbria è particolarmente preoccupante. La regione, che un tempo contava più di 900.000 abitanti, è scesa al di sotto di questa soglia, arrivando a 856 mila (l’1,5 per cento della popolazione nazionale). Un calo demografico che è avvenuto a un ritmo doppio rispetto alla media nazionale (-0,5 per mille in Umbria contro il -0,3 per mille a livello nazionale), mentre la popolazione continua a invecchiare rapidamente.
Gli over 65 rappresentano più del 25% del totale, mentre l’età media ha raggiunto i 48 anni (Agenzia Umbria Ricerche, 2023). Questo trend, unito alla riduzione della popolazione in età lavorativa, genera forti pressioni sul sistema di welfare, che rischia di non poter sostenere adeguatamente il crescente numero di anziani.
Le politiche demografiche adottate dai governi italiani negli ultimi anni non sono riuscite a contrastare efficacemente questo declino. Attualmente, solo il 4% della spesa sociale è dedicato al sostegno delle famiglie, la metà rispetto alla media europea, risorse che si mostrano largamente insufficienti per affrontare le sfide strutturali che minano la crescita demografica.
Interventi come il bonus asili nido e la decontribuzione per le madri lavoratrici rappresentano tentativi parziali, che non affrontano le cause profonde della crisi. Il bonus asili nido, che prevede fino a 3.600 euro l'anno per le famiglie con figli nati nel 2024, un secondo figlio di età inferiore ai 10 anni e un Isee sotto i 40mila euro, non risolve il problema della scarsa offerta di servizi per l’infanzia.
Per non parlare della decontribuzione per le madri lavoratrici, che esenta fino a 3.000 euro annui per le donne con contratti stabili e almeno due figli, una misura che si rivolge a una platea molto limitata, lasciando fuori una larga fetta di popolazione femminile che continua a subire la precarietà del mercato del lavoro.
La mancanza di stabilità occupazionale resta infatti una delle cause principali del calo delle nascite: basti pensare che, stando ai dati del quarto trimestre del 2022, il tasso di occupazione femminile in Italia si colloca al livello più basso rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea. Il tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni si attesta infatti al 55%, risultando circa 14 punti percentuali inferiore alla media UE, che è pari al 69,3%.
Significativa anche la differenza tra l'occupazione maschile e femminile. Attualmente, le donne impiegate sono circa 9,5 milioni, mentre gli uomini occupati ammontano a circa 13 milioni.
A incidere sulla crescita demografica anche la diffusione di asili nido, servizi e scuole per l’infanzia.
Nel 2020, l'Umbria ha registrato un significativo progresso nell'offerta di servizi per la prima infanzia, con 44 posti ogni 100 bambini di età inferiore ai 3 anni. Questo dato la colloca tra le regioni italiane che superano la soglia del 33% fissata dal Decreto Legislativo 65/2017, contribuendo così al miglioramento della situazione nazionale.
Tuttavia, il divario tra nord e sud del Paese e quello tra aree urbane e interne rimangono sfide significative. Mentre l'Umbria e altre regioni del centro-nord mostrano tassi di copertura più elevati, il Mezzogiorno, sebbene in crescita, presenta ancora una situazione di sostanziale carenza, con regioni come la Campania e la Sicilia che non raggiungono nemmeno il 10% di copertura.
Nel contesto umbro, diventa indispensabile mantenere e allargare questa tendenza positiva, mirando a obiettivi più ambiziosi come la nuova soglia europea del 45% di copertura. Una necessità questa che viene ulteriormente sottolineata dalla recente raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea, che sollecita a migliorare la qualità e l'inclusività dei servizi, nonché l'accesso ai nidi per tutti i bambini.
In questo senso, le aree interne della nostra regione richiedono particolare attenzione. I comuni più periferici mostrano una disponibilità di posti significativamente inferiore rispetto ai centri urbani, per questo l'obiettivo di raggiungere il 75% di comuni con accesso ai servizi per l'infanzia costituisce un passaggio fondamentale per garantire che anche i territori meno serviti possano beneficiare di queste opportunità.
La precarietà lavorativa e le difficoltà economiche sono evidentemente al centro del problema demografico, fattori che incidono massivamente nella pianificazione del proprio futuro e nella decisione di accrescere o meno il proprio nucleo familiare.
L'accesso ai servizi di welfare nella nostra regione appare sempre più limitato: l’Umbria ha visto un incremento dei costi relativi all’assistenza sanitaria e sociale, in particolare per quanto riguarda l'assistenza agli anziani e i servizi per l'infanzia. Senza un robusto sistema di welfare che supporti le famiglie, il calo delle nascite rischia di peggiorare ulteriormente.
Paesi come la Francia e la Svezia hanno messo in atto politiche demografiche efficaci: la Francia con un tasso di natalità pari a 10,7 nascite per mille abitanti, ha sviluppato un sistema di welfare che prevede congedi parentali estesi, incentivi fiscali e un accesso semplificato ai servizi per l'infanzia (Eurostat, 2023), mentre la Svezia, con un tasso di 10,0 per mille, ha introdotto politiche di conciliazione tra vita lavorativa e vita privata, servizi diversificati e gratuiti e assegni specifici per redditi bassi (OECD, 2023).
In Italia, al contrario, non si è mai riusciti a pianificare in modo strutturale e lungimirante interventi che siano in grado di coniugare incentivi alla natalità, politiche di welfare robuste e misure strutturali per migliorare le condizioni lavorative. Gli interventi frammentari e spesso temporanei non sono sufficienti per contrastare un fenomeno così complesso.
L'immigrazione potrebbe essere una risorsa fondamentale per contrastare il declino demografico, ma le politiche italiane, spesso orientate a limitare il fenomeno, non hanno sfruttato appieno questo potenziale.
In Umbria, gli immigrati rappresentano circa il 10% della popolazione, una percentuale significativa, giovane e in età lavorativa, ma che senza adeguate politiche di integrazione, rischia di non poter dare il suo contributo.
Potenziare i servizi per l’infanzia, sostenere l'occupazione femminile, implementando politiche che favoriscano la conciliazione vita-lavoro, con flessibilità oraria, congedi parentali più lunghi rivolti a entrambi i genitori, ridurre la precarietà lavorativa, promuovendo contratti stabili, sostenere l’occupazione giovanile, sviluppare una strategia di integrazione per i migranti, valorizzando l'immigrazione come risorsa, sono temi enormi su cui lavorare e concentrare sforzi e progettualità aldilà del mandato elettorale.
Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi
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