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Immagine del redattoreNuove Ri-generazioni UMBRIA

Precarietà giovanile: come essere e diventare adulti senza certezze



La precarietà è diventata la condizione di vita di intere generazioni di giovani in Italia. Una precarietà radicata, mal digerita e mal sopportata, ma assunta spesso come condizione necessaria in mancanza di alternative.

Non si tratta solo della precarietà del lavoro, è un’incertezza questa, che permea ogni aspetto della vita quotidiana, con ripercussioni esistenziali e sociali. Per i giovani, precarietà significa vivere rendendosi conto di non poter progettare il proprio futuro, di non avere sicurezze e, soprattutto, avvertendo tutto il peso di sentirsi come immersi in un sistema che non li sostiene e valorizza.

Nel nostro Paese la disoccupazione giovanile si attesta al 18,3% contro una media europea dei 14,1%. Una percentuale che seppur mostri segnali positivi rispetto agli anni precedenti, si accompagna a una crescente insicurezza contrattuale. La prevalenza di contratti a tempo determinato, stage poco retribuiti e forme contrattuali atipiche rendono il lavoro un bene precario, difficile da mantenere e incapace di garantire la stabilità economica.

Stando ai dati forniti dall’Osservatorio sul precariato dell’INPS, nel 2023 sono stati attivati 3,16 milioni di contratti in favore di lavoratori under 30, di queste attivazioni, il 79,80% è avvenuto attraverso contratti temporanei, tempo determinato, stagionale, in somministrazione o a chiamata.

Per quanto riguarda le retribuzioni, nel 2022, nel settore privato, la retribuzione media annua dei giovani fino a 29 anni è stata pari a 13mila euro, comprendendo sia chi ha contratti stabili sia chi non li ha, con questi ultimi che in media guadagnano circa 8 mila euro annui.

Ad aiutare ad avere un quadro approfondito del contesto in cui si muovono i giovani nella nostra regione è la ricerca dal titolo “I giovani in Umbria” condotta dalla dottoressa, Meri Ripalvella, del Servizio Trasparenza, Anticorruzione, Privacy e Ufficio di statistica della Regione Umbria, la cui responsabile è Mirella Castrichini.

Uno studio che evidenzia una realtà complessa, in cui il calo della popolazione giovanile, le difficoltà occupazionali e l’esodo di giovani qualificati pongono l’Umbria di fronte a una sfida esistenziale.



Dalla ricerca emerge che, al 1° gennaio 2024, i giovani umbri tra 0 e 34 anni rappresentano il 30,6% della popolazione, una percentuale quasi dimezzata rispetto al 1952, quando erano il 58,3%. Un calo drastico che non accenna ad arrestarsi tenendo conto che la proiezione al 2080 prevede un’ulteriore diminuzione di oltre 89.000 unità, attestandosi a circa 172.580 giovani.

Dati questi da leggere in tutta la loro complessità perché produrranno conseguenze inevitabili sul numero di lavoratori, sul numero di giovani famiglie, sulla vitalità della società civile e dell’economia locale complessiva.

Nonostante ciclicamente si parli di “nuova stagione” delle politiche del lavoro, le fragilità del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate. Una situazione sotto gli occhi di tutti ma su cui si investe poco e malvolentieri, consapevoli, a livello politico, di rivolgersi a una piccola fascia di possibili elettori, sebbene pur sempre cittadini che dovranno fare i conti con un’eredità complessa frutto di scelte miopi e troppo spesso di banale indifferenza.


Elaborazioni del servizio su dati Istat

Nel 2023, sono circa 91mila i giovani umbri (65,2% della fascia 18-34 anni) che vivono ancora con almeno un genitore; di questi, il 45,2% è occupato, il 42,9% studente, e l'11% è in cerca di lavoro.

Sebbene il tasso di occupazione nello stesso anno abbia dato segnali incoraggianti dopo la crisi pandemica, permane il gap di genere tra i giovani nella fascia interessata.

Nel 2023 le giovani lavoratrici sono poco più di 31mila, rappresentando il 41,6% del totale di giovani occupati, un dato in diminuzione rispetto al 2022 (-1,8%). Al contrario, gli occupati uomini nella stessa fascia d’età sono quasi 44mila, pari al 58,4% del totale, e in aumento rispetto all'anno precedente (+3,9%).

A tal proposito, lo studio evidenzia anche come le giovani umbre siano più istruite dei coetanei uomini: la quota di umbre tra 9 e 24 anni in possesso almeno del diploma superiore ammonta al 34,8% contro il 33,4% rilevato per i maschi.



La percentuale di 25-34enni umbri con istruzione universitaria ammonta al 34,4% nel 2023 (Centro 35,5%, Italia 34,4%); tale dato colloca l’Umbria al quarto posto nella graduatoria delle regioni italiane. Anche in questo caso esiste un differenziale a favore delle giovani umbre; il gap, se pur in riduzione rispetto agli anni precedenti, è di 8,2 punti percentuali nel 2023 (38,6% le donne e 30,4% gli uomini).

Donne preparate che conoscono il valore di identificazione che il lavoro può offrire, ma sono anche consapevoli che non è e non può essere l’aspetto fondamentale dell’esistenza e per questo continuano a chiedere migliori condizioni di lavoro e servizi e politiche di conciliazione adeguati che le sostengano e liberino da una condizione spesso di segregazione, frutto di un modello di mercato patriarcale e antiquato.

Una ferita a breve, ma anche a lungo termine, quella della precarietà, in grado di generare ansia e impotenza di fronte a qualsiasi imprevisto, dalla malattia alla perdita di lavoro, che viene vissuto come il momento da scongiurare con tutte le forze, e presenta i conti anche dopo venti, trent’anni, quando si conclude, si spera, il proprio percorso lavorativo, ma restano, beffardi, dei “buchi” previdenziali.

Non si tratta di un futuro negato, ma anche di un presente zoppicante quello che si consegna ai giovani.

Solo lo scorso anno 5mila giovani, molti di loro laureati, hanno lasciato la regione per cercare opportunità lavorative altrove, un esodo che impoverisce il territorio, privandolo di risorse umane e contribuendo a un declino economico e sociale evitabile.



Le conseguenze sono collettive, umane e sociali. L’instabilità occupazionale ed economica giovanile si riflette sulla capacità e disponibilità dei giovani a partecipare attivamente alla vita sociale e politica del Paese, li rende più inclini a sviluppare un senso di alienazione dal sistema politico e istituzionale, che più volte quando non li ignora, li dileggia o li ostacola.

Non è raro, in questi casi, sentire tirata fuori dal cilindro la frase: “occorre passare dalle parole ai fatti” , una  frase diventata retorica, utilizzata anche da chi, animato dalle migliori intenzioni, vuole rimarcare una volontà di cambiamento.

Tuttavia, chi la pronuncia, spesso, non ha effettiva contezza del fatto che ad oggi la precarietà non è una condizione temporanea, ma significa negare la possibilità di una vita lavorativa e relazionale stabile, significa negare un diritto.

Basterebbe mettere un po’ più spesso il naso fuori di casa per capire come stanno i giovani, qual è il Paese reale, tanto per continuare sulla scia delle locuzioni retoriche, basterebbe uscire dalla propria bolla e respirare un po’ di sana realtà.


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Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi

 

 

 

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