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Temperature in aumento e disuguaglianze sociali: cos'è la cooling poverty



Con l’impennata delle temperature globali, ora superiori di oltre un grado rispetto ai livelli preindustriali e destinate ad aumentare ulteriormente, la capacità di mantenere condizioni di vita adeguate è una questione cruciale. Il 2023 ha segnato un record come l'anno più caldo dal 1850, e novembre è stato il mese più anomalo in termini di temperature mai documentato. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ha avvertito che tali anomalie climatiche diventeranno sempre più frequenti e intense, richiedendo un’azione urgente e mirata.

In questo contesto di temperature in continua crescita, il concetto di "cooling poverty" o "povertà di raffreddamento" emerge come una nuova e critica dimensione della povertà. Definita come l’incapacità di proteggersi adeguatamente dal calore estremo a causa di infrastrutture inadeguate, la cooling poverty va ben oltre la semplice mancanza di sistemi di raffrescamento.

Il recente studio pubblicato su Nature Sustainability da un team di ricercatori delle Università di Oxford e Ca' Foscari Venezia, insieme alla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), all'RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e alla London School of Hygiene & Tropical Medicine, introduce il concetto di "cooling poverty” come una questione sistemica che riflette e amplifica le disuguaglianze sociali e economiche preesistenti.

Secondo i ricercatori, la cooling poverty diventa "sistemica" quando le persone sono esposte al calore estremo senza avere accesso a soluzioni efficaci per mitigarlo. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante nelle aree urbane dense e nelle regioni dove le temperature estive sono in aumento, aggravato dalla scarsità di risorse come acqua e vegetazione urbana, e dall'inadeguatezza degli edifici a fornire un ambiente termicamente confortevole.

Il concetto di cooling poverty si inserisce nel più ampio contesto della povertà energetica definita dalla Strategia Energetica Nazionale, come la “difficoltà di accedere a un insieme minimo di beni e servizi energetici”. Un fenomeno che si manifesta quando una famiglia non è in grado di pagare per l’elettricità o il gas necessari a garantire un adeguato riscaldamento e illuminazione della propria abitazione. Alla fine del 2021, in Italia circa 2,2 milioni di famiglie erano colpite da povertà energetica, con un incremento di circa 125mila famiglie rispetto all’anno precedente, rappresentando l'8,5% del totale.



Lo studio evidenzia cinque dimensioni fondamentali della cooling poverty sistemica: clima, comfort termico delle infrastrutture, disuguaglianza sociale e termica, salute, e standard educativi e lavorativi. Queste dimensioni interagiscono tra loro, creando un quadro complesso in cui le disuguaglianze sociali sono amplificate dall'incapacità di far fronte al calore estremo.

L'efficientamento energetico degli edifici emerge come una delle soluzioni chiave per mitigare la cooling poverty. Secondo i dati dell'ENEA, circa il 60% degli edifici in Italia è stato costruito prima delle normative sul risparmio energetico, il che li rende particolarmente vulnerabili alle temperature estreme. Migliorare l'isolamento termico, utilizzare materiali riflettenti e implementare soluzioni di raffrescamento passivo possono ridurre drasticamente la necessità di energia per mantenere condizioni interne confortevoli, contribuendo a ridurre sia la povertà energetica che la cooling poverty.

ENEA, nel recente report sulla situazione del parco immobiliare nazionale, ha evidenziato le criticità in vista degli interventi che potranno essere necessari per conseguire gli obiettivi di risparmio energetico stabiliti dall’Energy performance of buildings directive (Epbd) e ha mostrato come gli edifici a destinazione d’uso residenziale risultano pari a 12,42 milioniOltre il 60% di tale parco edilizio ha più di 45 anni, ovvero è precedente alla Legge 373/1976, prima legge sul risparmio energetico. In Umbria, regione caratterizzata da un patrimonio edilizio storico spesso inefficiente, il potenziale di riqualificazione energetica è significativo. Stando ai dati del Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica (SIAPE) ad agosto 2024, il totale degli Attestati (APE) per l'Umbria ammonta a 106.017, su un totale nazionale di 6.063.634. Emerge inoltre una prevalenza di edifici residenziali, che rappresentano l'88,3% del totale degli APE, rispetto al 11,7% di edifici non residenziali.

L'Indice di Prestazione Energetica Globale medio per gli edifici umbri mostra una concentrazione significativa nelle classi energetiche F(22,2%) e G(38,8%), indicando prestazioni energetiche inferiori rispetto agli standard ottimali. Questo dato, unito alla presenza di un gran numero di edifici costruiti tra il 1945 e il 1972, suggerisce una tendenza alla diminuzione delle prestazioni energetiche nel tempo.

A ciò si aggiunge il fatto che nella nostra regione solo una piccola percentuale degli edifici ha beneficiato di interventi di efficientamento, il patrimonio immobiliare efficientato in Umbria attraverso Superbonus e bonus ordinari è infatti attorno al 3% dimostrando quanto ci sia ancora molto da lavorare in termini di investimenti pubblici e privati, misure di incentivazione e strategie per affrontare il problema degli split incentives o incentivi divergenti, cioè la situazione in cui i proprietari e gli inquilini hanno interessi contrastanti ad esempio, se l'inquilino è responsabile delle spese di riscaldamento, il proprietario non è motivato a investire in miglioramenti di efficienza energetica fino al termine del contratto di locazione. 

Negli ultimi decenni poi, l'aumento dei prezzi dell'energia ha reso sempre più difficile per molti consumatori accedere ai servizi energetici in diversi paesi. La stampa riporta frequentemente le difficoltà delle famiglie nel gestire le bollette, costrette talvolta a scegliere tra cibo, medicine e il mantenimento di condizioni abitabili durante i mesi invernali o estivi. L'emergenza COVID-19 ha aggravato la situazione, poiché le fasce più vulnerabili hanno visto diminuire le opportunità di lavoro, spesso precario e stagionale, mentre i costi per l'abitazione sono aumentati. Questo ha reso ancora più urgente affrontare la questione della sostenibilità delle spese energetiche per le famiglie a basso reddito, soprattutto considerando l'impatto previsto della transizione energetica sui prezzi dell'energia e su altri beni essenziali.

Sebbene sia ampiamente riconosciuto che l'energia deve essere accessibile, la definizione pratica di questa accessibilità e la sua misurazione precisa sono raramente stabilite e ancor meno frequentemente valutate.

Negli ultimi anni, la consapevolezza su questi temi è cresciuta notevolmente, grazie alla maggiore disponibilità di dati e alle analisi territoriali che hanno offerto una visione più dettagliata della situazione, seppur ancora incompleta (l'Osservatorio nazionale della povertà energetica, OIPE, è stato istituito solo nel 2019). Tuttavia, è essenziale ricordare che in un processo di transizione energetica di tale portata, nessuno deve essere lasciato indietro e affinché la transizione energetica sia veramente efficace, deve coinvolgere e beneficiare tutti, con particolare attenzione alle persone più vulnerabili che dovrebbero essere al centro delle politiche, garantendo che gli obiettivi di questo imponente percorso raggiungano ogni cittadino.


Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi

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