L’Umbria sta affrontando, e non da oggi, un bivio economico e sociale decisivo, con segnali che descrivono un quadro complesso e in rallentamento rispetto alla media nazionale. Se da un lato si registrano alcuni segnali di ripresa, dall’altro la regione sembra essere in uno stallo strutturale, lontana dalle dinamiche di crescita che interessano altre aree italiane. Questo rallentamento, unito a un quadro economico complesso, richiama l’urgenza di riflettere su quali strategie adottare per un futuro più inclusivo e prospero.
Secondo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria e del Mezzogiorno) l’Umbria è parte del cosiddetto "club 3" insieme a Molise e Abruzzo, ovvero le regioni che stanno vivendo un processo di "meridionalizzazione" che, oltre a ridurre il PIL, modifica i modelli sociali. I dati Istat rivelano che, tra il 2019 e il 2022, l’Umbria ha subito un calo dell’1,6% nel PIL, posizionandosi all’ultimo posto in Italia per crescita economica.
Questa situazione di stagnazione economica ha impatti profondi anche sul tessuto sociale. L’occupazione è in lieve crescita, ma rimane disomogenea: la dinamica favorisce soprattutto i lavoratori autonomi, mentre i giovani e le imprese più piccole faticano a trovare stabilità. Nel primo semestre 2024, sebbene si sia osservato un incremento del 4,5% del reddito disponibile delle famiglie, i consumi sono cresciuti solo dello 0,6%, segnale di una fiducia ancora debole verso il futuro.
L’attività edilizia, come mostra l'ultimo rapporto di Bankitalia sull'economia regionale, è una delle poche a mostrare segnali positivi. Grazie agli investimenti pubblici legati ai fondi del Pnrr e alla ricostruzione post-sisma, le ore lavorate nel settore nel primo semestre dell'anno sono cresciute del 10,8% rispetto allo stesso periodo del 2023, con oltre 540 gare bandite per un valore complessivo di circa 760 milioni di euro (dati ANAC e del portale Italia Domani). Tuttavia, molti di questi cantieri procedono a rilento o sono ancora in fase di avvio, rendendo incerta la piena realizzazione dei benefici economici e sociali attesi. L’efficace utilizzo di questi fondi è cruciale per generare crescita e resilienza economica, ma richiede tempestività e capacità amministrativa.
I salari umbri sono tra i più bassi d’Italia, inferiori del 17% rispetto alla media nazionale, un dato che contribuisce al fenomeno del "lavoro povero". La recente sostituzione del Reddito di Cittadinanza con l’Assegno di Inclusione e il Supporto per la Formazione e il Lavoro ha sì creato una nuova struttura di sostegno alle fasce vulnerabili, ma con limiti significativi: l’importo medio mensile di 591 euro percepito dalle 5mila famiglie umbre che ne hanno beneficiato, pari all'1,3% di quelle residenti, risulta infatti insufficiente rispetto al costo della vita. Anche l’assegno unico universale, con un importo medio di 172 euro per figlio, non riesce a tenere il passo con l’inflazione e le crescenti difficoltà quotidiane.
Il credito alle imprese umbre è in calo, soprattutto per quelle di piccole dimensioni. Tassi di interesse elevati, politiche restrittive delle banche e una domanda di investimenti ancora debole hanno scoraggiato l’accesso al credito, condizione essenziale per le aziende in fase di espansione o per quelle che necessitano di stabilizzazione. Uno scenario questo, che impone un peso ulteriore sul settore manifatturiero, già in difficoltà, e rischia di alimentare un ciclo di stagnazione economica.
La regione si trova quindi a dover risolvere criticità strutturali che bloccano la crescita, così come a ridurre le disuguaglianze economiche e incentivare il rinnovamento generazionale. Senza un cambiamento radicale, il rischio è quello di veder aumentare il disinteresse verso il futuro e le istituzioni.
Ma salvaguardare i diritti, tutelare le libertà individuali e assicurarci che i valori democratici possano continuare ad essere garantiti oggi e in futuro, è una responsabilità individuale e collettiva al tempo stesso pesante e bellissima, perché come osserva lo storico Alessandro Barbero, «non è quando non si arriva alla fine del mese, ma quando si comincia a stare meglio e non si ha più fame che si alimentano maggiori speranze per il futuro e si acquista consapevolezza dei propri diritti».
Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi
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